Il territorio

LE MARMAROLE

Il gruppo delle Marmarole si presenta come una lunga catena di cime con andamento sostanzialmente ovest-est, che si sviluppa per oltre 13 km tra la Cima Bel Pra e il Pian dei Buoi. Essa viene solitamente divisa in tre settori: il Sottogruppo del Bel Pra (Marmarole Occidentali), le Marmarole Centrali e il Sottogruppo del Ciastelin (Marmarole Orientali).

Le Marmarole Occidentali (Sottogruppo del Bel Pra), poste all’estremità occidentale della catena comprese tra Forcella Grande e Forcella Vanedel, hanno la forma caratteristica di un anfiteatro, rivolto verso nord: vi appartengono il Corno del Doge (2615 m), la Costa bel Pra (2862 m), le cime Bel Pra (2917 m), Scotter (2800 m), Nosoio (2768 m) e la Croda de Marchi (2796 m), legate una all’altra da una cresta a ferro di cavallo senza marcate insellature, salvo le Forcelle Scotter e il Passo del Camoscio. Quest’ultimo rappresenta in pratica l’unico punto di valico – anche se comunque non comodo e non privo di pericoli – tra il Pian del Scotter all’interno dell’anfiteatro e la Val Rusecco nel versante della Val del Boite.

Da forcella Vanedel (2372 m) hanno inizio verso oriente le Marmarole Centrali, che formano l’ossatura principale del gruppo. Ne fanno parte le seguenti cime principali: la Cresta Vanedel (2725 m), la Pala di Medeuce (2864 m) la cima Tiziano (2802 m), le Cime di Vallonga (2742 m e 2718 m), il Monticello (2803 m), le cime di Val Tana (2750 m), il Cimon del Froppa(2932 m), che è la vetta più alta del gruppo, e la Croda Bianca (2841 m).

Caratteristico delle Marmarole Centrali è il singolare contrasto morfologico degli opposti versanti: quello meridionale è fortemente frastagliato ed a precipizio sulla Val d’Oten, con paurosi burroni e rocce colorate interrotte da profondi canaloni; mentre quello settentrionale è più compatto e presenta un andamento più dolce, con rocce grige, spesso lastronate e sostanzialmente omogenee, rivestite nella parte inferiore da una rigogliosa vegetazione di baranci.

Il terzo settore è quello delle Marmarole Orientali (Sottogruppo del Ciastelin), che inizia da Forcella Baion ed è costituito da una serie di cime di imponenza ed estensione alquanto più modesta rispetto a quelle degli altri due settori; lo slancio però delle guglie che fanno capo al Ciastelin ed al Monte Ciarido rendono il complesso interessante.

Difficili e lunghi gli accessi a queste montagne: impegnativa l’attraversata a sud, ma ben più difficile quella a nord, voluta e realizzata da Sammarchi, grande amante delle Marmarole. Quattro bivacchi segnano le tappe di questo trekking, ritenuto il più impegnativo delle Dolomiti: il Voltolina, il Musatti, il Tiziano ed infine il bivacco Fanton. Fino a pochi anni fa esistevano ancora cinque ghiacciai, ora disciolti: delle Selle, Froppa de Fora e de Inte, Meduce de Fora e de Inte.

Gli attraversamenti della catena delle Marmarole sono turisticamente quasi tutti impegnativi: percorsi che richiedono organizzazione, attrezzatura, esperienza e prudenza adeguate a delle montagne che, malgrado i segni sui sassi lungo le vie, mantengono la durezza e la severità della montagna allo stato selvaggio. Per contro, il mondo delle Marmarole è ancora incontaminato ed il muoversi, per chi ama l’ambiente montano allo stato naturale, offre esperienze e soddisfazioni di una ricchiezza e varietà che difficilmente oggi si possono ritrovare altrove.

E tra questi ghiacciai costellati da cime, contrafforti, guglie, pinnacoli, caverne, circhi rocciosi sono nate le leggendarie storie dei Crodares, figli delle rocce, del tutto uguali agli uomini ma senza la possibilità di percepire e provare gioia e dolore. Erano sempre tranquilli e indifferenti a tutto, non facevano male a nessuno ma non provavano niente per nessuno perché il loro cuore era di pietra proprio come l’ambiente delle Marmarole. La regina dei Crodares, che vive in un castello di ghiaccio, è Tanna.

Quelli delle Marmarole sono paesaggi che ben si prestano ad alimentare storie fantastiche: le leggende hanno sempre accompagnato i solitari di queste montagne. I cacciatori raccontavano del camoscio mezzo bianco e mezzo nero e i primi rocciatori sostenevano di incontrare anziani uomini e donne con la barba lunghissima dolci e simpaticissimi che offrivano un infuso d’erbe buonissimo.

Inanellata di leggende la storia delle scalate sulle Marmarole è ricchissima di particolari. Un capitolo importante riguarda la prima ascensione della cima più alta: il Cimon del Froppa. Il protagonista fu Giovan Battista Toffoli detto “Tita Petòz“, cacciatore e guida alpina di Calalzo: raggiunse la cima dal versante nord nell’ottobre del 1867.

RE ANTELAO

L’Antelao, con i suoi 3263 m d’altitudine, è la seconda cima delle Dolomiti, superata solo dalla Marmolada (3343 m), ed è grazie alla sua maestosità e alla sua posizione dominante che è detto il Re delle Dolomiti.

L’Antelao è delimitato a nord dal gruppo delle Marmarole ed il punto di confine è dato da Forcella Piccola; la valle del Boite lo lambisce da ovest fino a sud. Poi troviamo Calalzo, dal quale parte la Val d’Oten che ci riporta nuovamente a Forcella Piccola.

La struttura del monte è compatta, tutta convergente sulla vetta più alta. Nei pressi della sommità troviamo altre tre cime importanti: la Menini (3177 m), la Chiggiato (3163 m) e la Fanton (3142 m), i cui nomi tramandano belle figure dell’alpinismo dolomitico.

Il versante meridionale domina la media e bassa Val del Boite con uno sbalzo di ben 2300 m di pareti rocciose, solcate dal profondo e ripidissimo canalone detto Valòn dell’Antelao.

Il versante occidentale, rivolto verso la conca di San Vito di Cadore e la più lontana conca ampezzana, è caratterizzato dalla lunga schiena settentrionale di lastroni rocciosi, detta Le Laste, lungo la quale sale la via comune alla vetta. A nord-est domina la presenza di due fra i più spettacolari ghiacciai delle Dolomiti: il Ghiacciaio Superiore ed il Ghiacciaio Inferiore, separati fra loro da uno sperone roccioso, che poi si protende verso la Val d’Oten allargandosi nella lunga dorsale della cima Cadin (2613 m) e del monte Ciauderona (2587 m). Leggendo la descrizione di questi ghiacciai sulla guida Berti del 1956 si può notare il loro notevole ridimensionamento.

Verso sud-est la montagna presenta un fianco allargato: dalla Cima Fanton, la vetta più orientale dell’Antelao, scendono pareti frastagliate ed articolate, che poi lasciano posto a balzi rocciosi intercalati da piani inclinati, successivamente diventano meno ripide e si trasformano in pendii di ghiaie fino ai dolci piani di Campestrin. La bassa dorsale delle Crode di San Piero chiude la parte rocciosa di questo versante, che si prolunga verso est con il verde e panoramico crinale del Monte Trànego (1849 m) esaurendosi poi sopra Pieve di Cadore e Calalzo.

Dal colosso scendono verso la Val del Boite ripidi e scoscesi valloni per lo più impercorribili perché rovinati da frane o interrotti da salti. Due belle valli scendono invece verso nord-est solcate da rivi glaciali: l’alta Val d’Oten e la Val Antelao, entrambe terminano in suggestive forre con due belle cascate.

Nel Gruppo si trovano due rifugi alpini: a nord il Rif. Galassi presso Forcella Piccola, ottima base sia per la salita all’Antelao, sia per la bellissima anche se lunga traversata dei ghiacciai; ad est il Rif. Antelao presso Sella Pradònego. Altri rifugi adiacenti sono il San Marco, lo Scotter, il Costa Piana e la Capanna degli Alpini posta alla fine della Val d’Oten.

Troviamo un solo bivacco: il Cosi, posto nei pressi della cima lungo la Via Comune, sulla sommità delle Laste dell’Antelao, per rendere soccorso ad eventuali escursionisti sorpresi dal maltempo. Il bivacco Brunetta, che si trovava sotto la grande parete sud-ovest nei pressi del Bus del Diau, è stato distrutto qualche anno fa da una slavina.

La conformazione compatta dell’Antelao non consente traversate escursionistiche diametrali del massiccio; invece vari itinerari di grande interesse panoramico ed ambientale si sviluppano sui suoi fianchi, e tra loro spicca la traversata dei ghiacciai, che può servire sia da collegamento tra i rifugi Galassi ed Antelao, sia per il passaggio dall’alta Val d’Oten alla Val Antelao, per poi scendere per quest’ultima a Praciadelàn, presso Calalzo di Cadore.

La via d’accesso al Biv. Cosi e l’ascesa da questo alla vetta dell’Antelao per la Via Comune salgono da Forcella Piccola lungo le caratteristiche Laste dell’Antelao, placche inclinate molto evidenti per chi discende la Valle del Boite da Cortina. Le difficoltà non sono particolarmente elevate, in alcuni punti toccano il 2º grado, ma non vanno sottovalutate vista la quota che rende probabile la presenza di ghiaccio, quindi il percorso della via comune è da ritenersi a carattere alpinistico.

La prima ascensione è attribuita a Grohmann assieme ad un cacciatore di camosci di nome Matteo Ossi, il quale asseriva però di aver già salito la cima in un’altra occasione. Altre figure importanti che hanno legato il loro nome alla montagna sono Menini, Fanton, Olivo, Bettella, Scalco e Barbiero, Da Col, Petrucci, Smith, Stabile. L’evoluzione moderna dell’alpinismo ha un po’ trascurato l’Antelao, ricordiamo però la cordata Casarotto che ha scelto nel 1982 alcune linee particolarmente difficili su questa montagna, raggiungendo forse per la prima volta difficoltà di 7º grado.

L’INCANTEVOLE VAL D’OTEN

Val d’Oten, valle Cadorina, il cui nome misterioso come la sua frequentazione si perde nella notte dei tempi, racchiusa tra le Marmarole e l’Antelao che, come vuole la leggenda, si erge gigante pietrificato sui possenti banchi calcarei del “Ciauderona”, mentre la sposa sua, “Pile” per sfuggire al maleficio che colpì gli Dei pagani, trasformata in cascata si inabissava dopo breve corsa tra le pietraie della “Gravina”.

Val d’Oten dalle ampie pendici della Val di Pae, coperte da boschi millenari di cupe abetaie, ai loro piedi chiazze di ruvidi pini dai rami contorti condannati al magro sostentamento della poca terra che ricopre le ghiaie calcinate.

Incantevole angolo del Cadore che, al miracolo dell’estate alpina, si ricopre di tappeti di driade, residuo glaciale delle migrazioni altaiche e pianta pioniera che, con le foglie rimaste della passata stagione e le lunghe affioranti radici, trattiene il mobile ghiaino della piana; dove i rari salici si improvvisano sostegni dei tralci rampicanti della clematide alpina dai solitari fiori azzurro-violetti; dove ancora il blu intenso della genzianella dei calcari si alterna al rosa carico della dafne striata e al giallo canario della primula auricola. Val d’Oten dove, nascosta e protetta da ginepri e mughi, regna ancora la più preziosa, la più bella, la più rara delle nostre innumerevoli orchidee: la scarpetta di Venere o, per i non pagani, “della Madonna”: dieci anni passati dalla caduta del seme alla formazione del rizoma, dodici per il primo fiore.

Val d’Oten dove l’alitare della brezza porta lontano il profumo del garofolino dal pennacchio, dove l’amaro lichene delle renne cerca protezione ed alimento sotto il rododendro irsuto, mentre il suo cugino più elegante e delicato preferisce l’ombra del Ciauderona; ed ancora mirtilli neri e rossi, i rovi di monte, l’asclepiade, le linarie, l’eufrasia, la primula farinosa, il serpillo e piante ancora usate da sempre dai valligiani come medicine: “la farmacia del Signore”.

Val d’Oten che, quando tutto questo scompariva sotto la coltre farinosa delle nevi invernali squassate dalla tormenta immancabile al levare delle correnti, vedeva un tempo file di calaltini che, slitta in spalla, arrancavano sull’alta neve instabile risalendo il Vanadel per poi scendere con il carico della legna tagliata in autunno, in una lunga e veloce corsa al paese.

Val d’Oten, valle tutta calaltina, forse l’unico nostro bene, bene prezioso da conoscere, da conservare, da difendere.

LA FAUNA

L’escursionista molte volte si lamenta di non incontrare animali selvatici durante le proprie uscite. E, molto spesso, ne attribuisce la colpa ai cacciatori. Niente di più sbagliato, se solo si considera il prezioso ruolo che hanno i cacciatori nella cura e nel ripopolamento delle locali aree venatorie.

Premesso questo, però, dobbiamo ricordare che gli orari migliori per l’osservazione degli animali sono le prime ore del giorno all’alba, che non coincidono con gli orari di uscita della maggior parte degli escursionisti, e poi anche i comportamenti rumorosi limitano gli avvistamenti, in particolare degli ungulati. Infatti, questi ultimi sono sensibili ai movimenti, alle voci e anche all’odore.

Se decidiamo di sacrificare qualche ora di sonno, iniziando quindi la passeggiata sulle Marmarole in ora antelucana, muovendoci con circospezione potremmo avvistare buona parte della ricca fauna presente.

I primi incontri nel bosco o in qualche radura possono essere con i cervidi (caprioli e cervi) o con qualche lepre o volpe in cerca di cibo; mentre salendo di quota possiamo incontrare branchi di camosci o di stambecchi appartenenti alla famiglia dei bovidi.

La popolazione di tali ungulati nel territorio del Comune di Calalzo è stata stimata per nel 2002 in circa 120 caprioli, 20 cervi, più di 200 camosci ed oltre un centinaio di stambecchi.

Lo stambecco è presente sulle Marmarole da circa 30 anni, in seguito ad una reintroduzione voluta dalla confinante riserva di caccia di San Vito, e si è sviluppato poi nella Val D’Oten per le favorevoli condizioni ambientali.

Oltre a questa “pregiata” presenza, annoveriamo nel nostro territorio una quantità notevole e variata di altre specie animali quali tasso, martora, donnola, faina, scoiattolo, ghiro e marmotta, questa reintrodotta dai cacciatori.

Anche i volatili sono rappresentati nella quasi loro totalità, a partire da rapaci come l’aquila, la poiana, il gheppio, l’astore e lo sparviere quali predatori diurni; la civetta, il gufo reale e l’allocco quali cacciatori notturni.

Da non dimenticare gli spazzini della montagna come il corvo imperiale, il gracchio, la taccola e la cornacchia. Particolare attenzione meritano i tetraonidi come l’urogallo (gallo cedrone), il fagiano di monte (gallo forcello), il francolino di monte e la pernice bianca.

I fasianidi sono rappresentati dalla coturnice. Esiste poi la presenza numerosa e variegata di picchi, cuculi, ghiandaie, gazze, tordi e di tutte lo specie di uccelli migratori.

Presenza meno gradita, ma non per questo meno importante, quella dei rettili, quali vipera, vipera del corno ed aspide, e dei colubridi, come ande, biacchi (carbonaz), natrici del collare e coronella austriaca.

Nei rari stagni ed acquitrini, e in generale nei luoghi umidi (anche predisposti dagli uomini), possiamo notare i batraci come rane, rospi e tritoni; più raro l’incontro con salamandre nere e pezzate.

Alla luce di quanto esposto, possiamo garantire a coloro che intendono dedicarsi all’osservazione della fauna locale che, con maggiore attenzione alle regole comportamentali specifiche per ogni specie, gli incontri con gli animali selvatici presenti nel nostro territorio sono, non solo possibili, ma anche frequenti.

LE PIANTE E I FIORI

È duro vivere in montagna: lo sanno bene gli uomini, lo sperimentano gli animali ed anche le piante, definite scientificamente orofite, che devono fare i conti con enormi sbalzi di temperatura, lunghi innevamenti, radiazioni solari che un’atmosfera rarefatta non scherma a sufficienza, vento che disidrata i tessuti.

Per sopravvivere, le specie orofite hanno sviluppato raffinate forme di adattamento: riduzione delle popolazioni, aumento del volume delle radici, presenza di peluria, adozione di tessuti capaci di trattenere l’acqua.

Nonostante queste difficoltà, si ritiene che in montagna vivano più di duemila specie di piante.

Allo scioglimento delle nevi fioriscono già eriche, farfari, crochi e soldanelle; seguite da potentille e genziane che punteggiano di giallo e blu i prati di erba secca dell’anno precedente.

Nei boschi abeti e pini metton fuori nuovi germogli, mentre faggi, frassini, aceri, ontani, betulle, salici, maggiociondoli e sorbi vestono i rami di foglie nuove: ai loro piedi anemoni, violette e acetoselle, tappezzano il sottobosco di bianco e lilla.

Le sponde dei ruscelli gonfi d’acqua sono tutte pialle per la vivace fioritura della calta palustre.

La primavera avanza, intorno ai paesi i prati rinverditi si riempiono di nontiscordardimè, margherite, ranuncoli, scabiose, campanule, sileni, salvie, lupinelle, gigli rossi; nei boschi sbocciano mughetti profumati.

Più in alto fioriscono le genziane e le primule auricole, fra i mughi si schiudono i Cypripedium Calceolus, i rododendri e le pinguicole (piante carnivore: si cibano di insetti che catturano con le vescicole viscose delle loro foglie!).

Pian piano anche i ghiaioni si vesto dei cuscini delle bianche triadi, delle posentille rosa, di cerastio, di garofani profumati, di sassifraghe, di rododendri nani: specie questa, come molte altre, di antica origine sopravvissuta alle glaciazioni.

Arriva l’estate, nei boschi fioriscono i ciclamini, maturano fragole, mirtilli e tante altre bacche, alcune velenose e nell’ombra umida crescono i funghi.

Sui pascoli alti, una volta luoghi di pascolo e fienagione, cresce qualche ostinato larice, sbocciano gigli martagoni, acopiti, cardi, aquilegie, epilobi ed arniche.

Dalle fessure delle rocce spuntano incredibilmente raponzoli, pederole e campanule; mentre, sui praticelli sottostanti alle pareti, appaiono nigritelle, stelle alpine e cuscini di silene acaule.

Quando l’estate se ne va le prime brine ingialliscono le erbe della montagna; a valle le ultime fioriture di genziane asclepiadee e di colchici anticipano l’esplosone di colori del bosco autunnale, fatto dell’oro dei larici, dell’arancio dei faggi, del rosso dei ciliegi, del viola dei viburni e del verde dei pini e degli abeti.

Il grigio dei tronchi ed il bianco della neve segneranno il riposo dell’inverno